martedì 21 aprile 2009

La trappola di nome economia


di Roberto Mancini
da a
ltreconomia (Num. 99 - Novembre 2008 - Rubrica "Idee eretiche")

La trappola di nome economia. Questa oggi è la tortura per la vita delle persone, dei popoli, della natura. La più grande causa di infelicità. Più è virtuale, futile, distruttiva e più decide del destino di tutti con forza apparentemente inesorabile.
Che poi presto si rivela apertamente, come oggi, la forza tragica del vortice in un naufragio.


Non è che sia un male l’economia in sé. Anzi, essa dovrebbe essere l’arte della cura per le basi materiali della convivenza. Il vanto di questa economia di servizio sarebbe quello di riuscire a non escludere, a non precarizzare, a non affamare nessuno. Il punto è che l’economia capitalista costruita nei secoli più recenti dall’Occidente come sovracultura globale è un’economia completamente e intrinsecamente perversa. Il suo dinamismo storico si sintetizza nella riduzione della società a economia e dell’economia a capitalismo distruttivo. L’indole necrofila di questo sistema si coglie inoppugnabilmente già dall’enorme contraddizione per cui l’economia attuale potrebbe eliminare la fame e invece la produce. È un delirio che viene dall’antica abitudine a organizzare la vita secondo la logica del dominio. Max Horkheimer e Theodor Adorno, ricostruendo il percorso storico-concettuale di tale abitudine collettiva, scrivono: “Il dominio sopravvive come fine a se stesso in forma di potere economico” (Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, p. 110). Perché il dominio radicale, il dominio puro, assume nella società proprio la forma dell’economia?


Di tutte le sfere di esperienza dell’essere umano, l’economia è quella che riguarda la sopravvivenza. Ma la sopravvivenza fine a se stessa è tutt’altro che naturale. Quando viene posta come scopo unico dell’esistenza, si deforma la condizione umana. La vita, nell’anelito che la fa respirare -cioè la vita umana ma anche la vita della natura- non cerca solo la sopravvivenza, tende a una condizione nuova, liberata dal male e dalla morte. Ridurre ogni cosa a economia significa fabbricare un sistema in cui la sopravvivenza bruta si sostituisce alla vita e, ancor più, a ogni possibilità di vita vera e di felicità condivisa. Se siamo un tessuto di esseri unici, tutti legati tra loro e tendenti a una liberazione integrale, ridurre la condizione dei viventi alla trappola dell’economia capitalista significa isolare ogni filo del tessuto. E costringerlo a fare qualsiasi cosa per continuare a sussistere in questo stato contronatura e disumano.
La sopravvivenza diventa lo sforzo di vivere al di sopra degli altri, senza e contro di loro. Una sopravvivenza selettiva, incompatibile con la convivenza.
Perché non ci ribelliamo a questo tremendo sortilegio di carta? Capire le cause di questa specie di epocale sindrome di Stoccolma è essenziale per uscire dalla trappola. Elenco brevemente le sette cause che ritengo più importanti:

  1. l’angoscia diffusa che fa guardare alla vita solo come a un tentativo di sopravvivere per il tempo più lungo possibile;

  2. l’illusione che si possa vivere per se stessi e separati dagli altri, indifferenti alla loro sorte;

  3. l’attrazione esercitata dai vantaggi materiali che questa economia assicura a pochi e promette a tutti;

  4. la giustificazione ideologica universale, che presenta questo sistema come “non ideologico”, ma naturale, razionale, vantaggioso e necessario, al punto che le stesse religioni non riescono a vedere che il capitalismo è ateismo puro;

  5. il sentimento collettivo di impotenza a cambiare per trovare un’altra forma di economia, nell’errata concezione per cui l’unica alternativa possibile al capitalismo, già da tempo sconfitta, sia stata il socialismo statalista;

  6. il permanente ricatto che grava su chiunque, per cui si crede che chi disobbedisce agli imperativi dell’economia globalizzata finisce in rovina;

  7. la messa fuori gioco della politica come strumento democratico per cambiare le cose e regolare il corso dell’economia, organizzando con giustizia la convivenza di tutti.

Trovare la via per uscire dalla trappola esige la comprensione di queste cause e l’individuazione operativa di risposte che le superino. E richiede la percezione del senso della vita personale e collettiva, la passione e il coraggio di cambiare, la fiducia in un futuro diverso, la memoria del perché, anzi del per chi vale la pena di agire altrimenti. L’altra economia è un sogno a occhi aperti, ma è anche un dovere.


Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all'Università di Macerata. Dirige la collana "Orizzonte filosofico" della Cittadella editrice di Assisi. E' membro del Comitato scientifico delle Scuole di Pace de3lla Provincia di Lucca e del Comune di Senigallia (AN). Il suo ultimo libro è "La buona reciprocità. Famiglia, scuola, educazione" (Cittadella editrice, 2008).

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